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Nel corso degli anni mi sono reso conto che le persone si pongono invariabilmente delle domande ricorrenti riguardo il lavoro psicoterapeutico, domande alle quali ogni psicoterapeuta può rispondere in maniera diversa, secondo la sua impostazione teorica e la sua esperienza.


Cercherò di fornire un quadro di risposte possibili a queste domande.

1- Quando è il caso di rivolgersi ad un psicoterapeuta?
In un celebre passo dei suoi Studi sull’Isteria pubblicati nel 1895, quasi all’inizio della sua avventura nel mondo della psicologia, Freud scrive: “Molto sarà guadagnato se riusciremo a trasformare la sua infelicità nevrotica in una infelicità comune. Contro l’infelicità comune lei potrà difendersi meglio, con una vita psichica risanata”.

Vivere è già molto difficile anche senza nevrosi, dice Freud. Poiché però non esiste una vita completamente libera dagli aspetti nevrotici ( e per nevrosi sostanzialmente si intende che ci sono aspetti della vita psichica ed emotiva che sfuggono al controllo), il discrimine è dato dalla quantità di elementi nevrotici che vanno ad aggiungersi alle normali difficoltà quotidiane. Quando, cioè, lo svolgere le normali attività della vita procura molta sofferenza, quando i rapporti sociali e lavorativi con gli altri vengono complicati eccessivamente dai propri carichi personali, quando insomma il vivere diventa troppo faticoso e non si riescono più a cogliere momenti, pur relativamente fuggevoli, di serenità e di soddisfazione, allora è il caso di rivolgersi ad uno psicoterapeuta. Magari si tratterà solo di qualche colloquio orientativo che darà indicazioni sull’intraprendere o meno un percorso più impegnativo, ma certamente l’incontro potrà fornire chiarificazioni e rassicurazioni.

2- Perché esistono molti tipi di psicoterapia?
Le teorizzazioni in psicologia, più che nelle altre branche del sapere, risentono in misura notevole della struttura di personalità dello studioso. Le sue simpatie e idiosincrasie, i suoi conflitti e i suoi ideali, le sue ansie ed i suoi aspetti nevrotici, in alcuni casi saranno soltanto adombrati, ma in altri influenzeranno pesantemente le sue elaborazioni.
Lo stesso può dirsi della struttura di personalità del terapeuta: anch’essa influenzerà la sua scelta e lo orienterà ad aderire all’uno o all’altro dei vari modelli psicoterapeutici, intervenendo poi in misura più e meno marcata nel modo in cui egli declinerà il suo essere psicoterapeuta.
A volte si usa dire che esistono tante psicoterapie per quanti sono gli psicoterapeuti, e aldilà della palese esagerazione, un po’ di verità la frase la contiene.

3- Quali differenze esistono tra i vari modelli psicoterapeutici?
Quando un paziente si reca da uno psicoterapeuta generalmente non sa a quale modello teorico egli fa riferimento. Il suo nome gli è stato fornito da un conoscente o da un ex paziente, oppure l’ha trovato autonomamente. Dopo uno o più colloqui orientativi il terapeuta potrà dare l’indicazione della necessità di effettuare una psicoterapia, e a quel punto fornirà anche delle indicazioni, per lo più di carattere pratico, su come essa si svolgerà. Ma raramente si pone la questione di approfondire i riferimenti teorici del terapeuta, anche perché difficilmente il paziente è interessato a questi aspetti. Egli vuole solo stare meglio, si affida ad un esperto e si aspetta che questi sia attrezzato della “migliore” teoria della tecnica psicoterapeutica disponibile.
Naturalmente tutte le psicoterapie mirano a ridurre i disturbi e ad aumentare il benessere del paziente, ma le strade che si possono seguire per ottenere questi risultati differiscono molto quanto a metodiche e tempi.
Grosso modo si possono distinguere le psicoterapie in due grandi gruppi: quelle psicodinamiche, delle quali fanno parte anche le psicoterapie ad orientamento psicoanalitico, e quelle di tipo cognitivo, che comprendono gli approcci comportamentisti e quelli sistemico-relazionali o strategici.

Le psicoterapie di tipo cognitivo si rifanno generalmente a teorizzazioni che mirano alla modificazione di modalità comportamentali disfunzionali e sono quindi finalizzate al raggiungimento di obiettivi circoscritti all’aspetto sintomatico del disturbo o dei disturbi lamentati. Il piano terapeutico, che richiede generalmente la partecipazione attiva del paziente, può anche prevedere una durata programmata.
Per chi volesse approfondire:
http://it.wikipedia.org/wiki/Psicoterapia
http://it.wikipedia.org/wiki/Psicoterapia_cognitivo-comportamentale

Le terapie di tipo psicodinamico, e la psicoanalisi in particolare, considerano il disturbo, il sintomo uno dei modi in cui l’inconscio del soggetto si manifesta, e cercano di raggiungere anche attraverso il sintomo la verità che esso sottende e nasconde.
Più che del sintomo, in psicoanalisi ci si interessa della persona e della sua storia, e l’effetto terapeutico consisterà nell’acquisizione della capacità di rilettura del proprio passato, rilettura che consentirà la trasformazione del sintomo come conseguenza della propria trasformazione.
Con la psicoanalisi si prova a cambiare il proprio passato.
Ogni percorso è altamente individuale e per questo non è possibile stabilire in anticipo la durata della terapia anche se, in linea generale, si può dire che le terapie psicoanalitiche tendono ad essere più lunghe di quelle che si rifanno ad altri orientamenti.
Quelli che seguono sono alcuni indirizzi di riviste Web che trattano di psicoanalisi:

http://www.pol-it.org
http://web.tiscali.it/bibliopsi/frenishome
http://www.psychomedia.it
E questo è il sito della Società di psicoanalisi italiana
http://www.spiweb.it
Qui:
http://www.waltercreati.it/seminari
sono riportati alcuni seminari nei quali vengono raccontati alcuni casi clinici seguiti con una psicoterapia psicoanalitica.

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